Slogan evergreen: la sburocratizzazione

Slogan evergreen: la sburocratizzazioneUno degli slogan sempreverdi che ciclicamente riempiono la bocca dei nostri politici è la , ovvero la diminuzione degli amministrativi a cui sono costretti i cittadini quando hanno a che fare con le . L’ultima volta che ho sentito questo pomposo proposito è stato qualche giorno fa ad Otto e mezzo, la trasmissione della gonfissima Lilli Gruber su La7, pronunciato dall’onorevole Stracquadanio. La mia reazione è stata la medesima che ho da un bel po’ di tempo a questa parte: i nostri politici non sanno di cosa parlano. Si muovono per slogan logori, imparati a memoria e consigliati da qualche sondaggista che intercetta gli umori della gente. Ma dietro le parole, il vuoto pneumatico.

Porterò ad esempio un piccolo spaccato di una realtà, che testimonia un corollario del concetto espresso dall’onorevole: la velocità dei delle PA. Fino a 5 anni fa la liquidazione di una qualunque fattura di un fornitore era pressoché istantanea. Che così non fosse era solo dovuto a carenze di organico (tesi del Tribunale di Milano, ad es.), o da problemi di organizzazione del lavoro (tesi brunettiana). In questi anni di egemonia del centrodestra ci si potrebbe aspettare che gli adempimenti burocratici da espletare per poter effettuare un’operazione semplice come il pagamento di una fattura si siano sensibilmente ridotti. Invece scopriamo che così non è. Ed allora, un po’ come farebbe Alberto Angela seguendo il percorso di un’anatra migratrice, seguiamo anche noi le peripezie che deve compiere una povera fattura di poche decine di euro per poter essere saldata.

Una norma spartiacque in tal senso è la cosiddetta manovra estiva di Tremonti dell’anno scorso, che al suo interno contiene un famigerato articolo sulla “Tracciabilità dei flussi finanziari” per combattere le infiltrazioni della mafia. Intento nobile, non c’è che dire.

Ora la nostra piccola fattura, nel momento in cui spiaggia sulla scrivania del funzionario addetto ai pagamenti, deve subito essere taggata con un codice detto (ovvero Codice Identificativo di Gara) rilasciato dall’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici, un’authority indipendente di monitoraggio delle PA. Poco importa che per comprare 100 risme di carta non si debba effettuare alcuna gara. Il nome tradisce le origini di questo strumento, pensato per le gare d’appalto (che, ricordiamo, sono obbligatorie solo oltre i 193.000 euro). I bandi di gara devono contenere questo codice identificativo. Tremonti, in un impeto statalista, ha deciso che questo codice andasse impresso su tutti i pagamenti senza limite d’importo. Naturalmente mandando in tilt l’AVCP ed il suo sistema informatico che, mentre si trovava a gestire richieste nell’ordine delle decine di migliaia all’anno, ora vede riversarsi un flusso di decine di migliaia di richieste al giorno. Quindi, dopo la trafila per vedersi accreditati al sito dell’Autorità, un operatore passa mediamente un’oretta al giorno attaccato a questi codici che di gara non hanno più nulla ma ormai andrebbero rinominati Codici Identificativi di Rapporto Contrattuale (ma per confondere le acque, rimane sempre e comunque l’acronimo ).

Se la fornitura è pagata con fondi d’investimento pubblico (ovvero su progetti finanziati con fondi pubblici… il 95% dei casi), al CIG va affiancato il (Codice Unico di Progetto) rilasciato stavolta dal CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica), un ente governativo. Anche qui stessa trafila per accreditarsi con fatica, e bei momenti passati a capire come funzioni l’applicativo web. Per una cosa che sostanzialmente ha ormai la stessa funzione del CIG.

Superato lo scoglio dei codici, abbiamo la norma sul . La Manovra Tremonti impone alle imprese che operano con la PA di munirsi di un conto corrente bancario dedicato ai rapporti con lo Stato in tutte le sue forme. In questo conto non possono essere utilizzati in alcun modo contanti, né per prelevare né per pagare. Quindi le ditte hanno dovuto fare la corsa ad attivarsi un conto di questo tipo, a meno di non rimanere ingessati nella rigidità della norma. Con gran piacere delle banche, immagino. Mentre l’ufficio pagamenti ha dovuto predisporre varia modulistica da far compilare al rappresentante legale della ditta dove dichiarare l’IBAN del conto dedicato e nome, cognome e codice fiscale delle persone autorizzate ad operarci.

Concluso quest’altro adempimento, passiamo alla richiesta del , ovvero il Documento Unico di Regolarità Contributiva. Anche in questo caso, come spesso avviene in Italia, le cose nascono in un modo e si trasformano in mostri man mano. Il nasce nell’ambito dell’edilizia pubblica. E’ un documento che attesta la regolarità del pagamento dei contributi dei propri dipendenti agli enti previdenziali di competenza. Intento nobile, in un settore dove i cantieri con lavoratori in nero e non assicurati sono all’ordine del giorno. Senza considerare la triste piaga delle morti bianche. Anche stavolta lo strumento, da un paio d’anni a questa parte, ha visto allargarsi la propria portata fino a ricomprendere i pagamenti di qualsiasi entità ed importo. Il concetto di fondo è questo: la PA, prima di provvedere al pagamento, deve verificare la regolarità contributiva del fornitore di norma presso INPS ed INAIL. Se dovesse risultare irregolare, dovrebbe versare le somme agli enti previdenziali a compensazione del credito che l’INPS vanta nei confronti del sostituto d’imposta. Insomma, una cessione del credito decisa per legge. Quindi, dopo essersi fatti dare le generalità della ditta e le relative matricole INPS ed INAIL, parte la richiesta del alle sedi territoriali di competenza dove la ditta è registrata. E qui comincia la grande attesa del documento, che giungerà via posta. Attesa che dipende dalla celerità dei vari uffici territoriali (INPS ed INAIL, che si rimpallano le richieste visto che ciascuno deve fare la verifica per conto proprio), e dalle nostre amate Poste Italiane. Il tutto si conclude in 30 giorni nella migliore delle ipotesi.

Infine, per i pagamenti oltre i 10.000 euro, si deve fare analoga verifica ma stavolta presso . Un nome che non ha bisogno di presentazioni.

Ecco, dopo innumerevoli adempimenti, si può procedere al pagamento vero e proprio. Che difficilmente potrà avvenire prima di 40-60 giorni, che in tempo di crisi economica e finanziaria non sono pochi.

Eppure i nostri politici si riempono la bocca di slogan, lo stomaco di buon cibo ( basta guardare i loro ventri), e le tasche di lauti stipendi e pensioni. Ma anche questa affermazione, in fin dei conti, è demagogia grillina.

Rudy Basilico Turturro (redattore)

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3 Risposte

  1. Martin Sileno scrive:

    ottimo articolo

  2. symbel scrive:

    demagogia grillina

  3. symbel scrive:

    a parte gli scherzi, questi sono i temi importanti nei quali il governo attuale ha fallito alla grande, altro che bunga bunga!

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