di Gabriel Garcìa Màrquez
Il colonnello di questo racconto di Màrquez è un personaggio potente, di quelli che lasciano il segno. Un militare canuto, tignoso, cocciuto, attaccato all’illusione di ottenere prima o poi un riconoscimento per aver dato anima e sangue nella Rivoluzione. Il suo pellegrinaggio all’ufficio postale, ogni sacrosanto venerdì per 15 lunghi anni nell’attesa di una lettera che annunci finalmente l’agognata pensione di guerra, ha un che di commuovente e angoscioso al contempo.
L’attesa. E’ su questo stato d’animo che si basa tutta la narrazione, capace di mangiarti vitalità e carne, esemplificata da quel gallo a cui il colonnello si lega nella speranza un giorno di farci qualche soldo nei combattimenti clandestini tra pennuti, togliendosi il pane di bocca pur di mantenere vivo e ruspante il bipede, nonostante la moglie arrivi ad odiare quella cresta, quel becco e quegli occhi senza intelligenza. Il gallo rappresenta per il colonnello il ponte tra un futuro migliore ed il passato di cui fa parte il figlio morto a cui l’animale apparteneva. Nel contrasto tra la speranza che diventa utopia e la malinconia per un passato duro e sanguinoso ma comunque onesto, si consuma l’attesa del vecchio che non potrà che condurlo alla morte senza soddisfazione.
L’ottimismo stoico dell’idealista in un contesto che sembra accartocciarsi sul protagonista come la sua pelle grinzosa, mi ricorda da vicino alcuni personaggi del Verga come il Mastro Don Gesualdo che per quanto si dibatta e si dia da fare non potrà mai innalzarsi dalla propria condizione.
Una durissima lezione che proviene dal Sud America, lontano anni luce dal sogno americano a stelle e strisce nella cui mitologia chiunque può diventar qualcuno se solo lo vuole con sufficiente forza di volontà.
Editore: Mondadori
Collana: Oscar scrittori moderni
Anno: scritto nel 1961
Pagine: 76
Prezzo di copertina: euro 8,50
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