Il bello addormentando nel bosco

Il bello addormentando nel bosco In Italia, il , è il babbo dello Stato, l’educatore, il “soggetto rappresentativo a livello sia interno che internazionale della complessiva entità statuale”. Può dare bacchettate alle dita sia al Governo che al Parlamento, quando questi si comportano in modo poco “carino” nei confronti della Costutuzione, o, anche se fanno da “bravi bambini”, può dargli uno scappellotto se non ritiene, lui, giusto quel comportamento. Quindi, il Presidente, deve avere gli attributi, la fermezza, il polso per porsi e imporsi come educatore, oltre che il senso dello Stato. Detto questo, dobbiamo ammetterlo: al , è un pesce fuor d’acqua. Primo punto: la sua cultura, le sue origini, le sue radici, nascono nel , cioè laddove ancora oggi molti maledicono quel famoso 17 marzo 1861, quando Cavour firmò la legge che proclamava il Regno d’Italia. Secondo punto: Napolitano ha portato nel cuore nei suoi ottanta e passa anni la fede comunista, la quale è un ossimoro con la parola Stato o “coscienza di Stato”, sono due antitesi due termini inavvicinabili data la loro estrema incompatibilità. I comunisti non possono essere rappresentanti dello Stato o statisti, poiché la loro fede stà nel Partito, non nello Stato. D’accordo, l’uomo ha avuto pure delle belle pagine, ad esempio dopo il crollo del muro di Berlino fu uno dei pochi lucidi insieme a D’Alema a dire “noi comunisti dobbiamo ammetterlo, eravamo in buona fede, ma abbiamo sbagliato”, e, questo, lo dicevano in coro mentre dietro di loro un Bertinotti privo di controlli si sbracciava e saltellava facendo piroette e giravolte inneggiando alla “lotta dura senza paura”. Come possiamo vedere, dunque, è stato un buon dirigente politico, serio e responsabile nel capire, e, con l’esperienza del tempo, di fare qualche passo indietro, o meglio, verso le frange riformiste moderate. Ma come uomo di Stato e come PdR, sarà ricordato dai pochi lucidi che scriveranno correttamente i libri di storia che staranno nelle cartelle dei nostri figli, come un uomo inadatto a sostenere quella carica, o meglio, la carica della carica. Questa carica l’ha buttato a terra, e, non avendo gli attributi o la schiena dritta, rimane perennemente al tappeto, lasciandosi scavalcare da tutte le porcate che questo Governo in concorso col Parlamento riesce a portargli sul tavolo. E come se non bastasse lo insultano pure. B dice che il PdR è contro di lui, e Morfeo (come lo chiama Grillo) che fa? Nemmeno una replica. Perfino il suo predecessore Carlo Azegli Ciampi, con una lettera aperta al Corriere ha voluto suonargli la trombetta accanto all’orecchio per farlo rinvenire. Ma niente. I suoi difetti, le sue mancanze, le sue deflaiance, gli hanno inniettato una dose di sonnifero capace di stordire il più grande degli elefanti. E B di questo ne è contento, oh se ne è contento. Ha firmato tutto quello che i portaborse di B gli hanno fatto trovare sul tavolo. È stato perfino sbugiardato dalla Corte Costituzionale sul lodo Alfano, e questo, è un fatto gravissimo. Sarà ricordato come il lustrascarpe di B. Dopo novant’anni, noi quando pensiamo a Luigi Facta, pensiamo a un codardo, quando non fu così. L’uomo si, era alieno dalla furbizia politica ed era un “candido”, ma, quando ha saputo della marcia su Roma, per difendere la democrazia del paese e dello Stato, preparò lo stato d’assedio della capitale. Che fa Napolitano quando la nostra democrazia è in pericolo? Che fa quando il Parlamento gli fa avere delle leggi che limitano l’uguaglianza dei cittadini? Che fa quando B & friends sparano a zero sulla magistratura definendola politicamente deviata, e, non rispettando la professionalità della stessa? Fa quello che avrebbe fatto Previti al suo posto. Dare a B il timbro con la propria firma per porla dove desidera, e, andare al Quirinale solo per giocare a nascondino con portaborse e usceri. È questo quello che ha fatto da quando eletto. Chissà che penserà di lui il suo compaesano Giovanni Leone, che anche se campano aveva la giusta dose di senso dello Stato in corpo, tanto che, dopo la crisi scaturita dal rapimento Moro, si dimise. Ma lui, non era un comunista.

Stefano Poma (collaboratore)

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