Dopo la batosta alle amministrative, Berlusconi era obbligato a dare una scossa. Una scossa di governo, ma anche di partito. Mentre per la prima aspettiamo la resa dei conti (mai termine fu più appropriato) col superministro dell’Economia Giulio Tremonti, per la seconda non si è dovuto attendere troppo. Colpo di mano del capo, declassamento (che odora di destituzione) del triumvirato Bondi-La Russa-Verdini, e promozione sul campo del delfino Angelino Alfano a segretario politico del maggior partito italiano. Le strizzatine d’occhio non son mancate, anche durante la Festa della Repubblica dove sul palco sia D’Alema che Fini, tra gli altri, hanno fatto i complimenti al Guardasigilli. Ed è inutile che Angelino sminuisca la nomina nell’intervista al Corriere di ieri, sostenendo che il passaggio dall’essere ministro di uno dei dicasteri più importanti al partito non profuma di promozione. Tutti sanno che quello che può sembrare un passo indietro oggi, significa prendere la rincorsa per dieci passi avanti nel 2013: la leadership assoluta con la candidatura a Premier. Lui, anche da questo lato, lancia fumogeni asserendo che anche in quella data il candidato sarà ancora Berlusconi. Non ci crede nemmeno lui.
Certo la promozione è stata tipicamente Berlusconiana: il partito è mio e me lo gestisco io, su questo non c’è dubbio. Tanto che Alfano è stato lanciato al vertice senza primarie, senza che il suo ruolo sia previsto dallo Statuto e senza che il PDL abbia mai fatto un congresso nazionale da quando è nato. Insomma, al predellino eravamo e lì siamo rimasti.
Nel partito i colonnelli hanno accolto il giovane maresciallo con apparente benevolenza, ma a denti stretti. Si deduce dal fatto che i 3 coordinatori nazionali non sono stati destituiti e neppure lo saranno. Questo mancato passo indietro di Verdini e La Russa (Bondi al contrario si era dimesso, again and again) la dice lunga sugli avvoltoi che si poseranno sulla spalla di Angelino. Mentre c’è chi come Formigoni continua a battere il tasto delle primarie, minando alla base il ruolo di Alfano come papabile candidato premier. E quel che dice il Presidente della Lombardia ad alta voce (ed in una platea come Ballarò), in tanti lo pensano e lo sussurrano nelle segrete stanze. Certo è che Alfano s è preso un bel vantaggio sugli altri. Il fatto di essere il cocco del Cavaliere di certo aiuta (anzi, forse è decisivo). Ed anche l’essere giovane collima col la scimmia di “giovinezza” che ha preso il Berlusca nel voler rilanciare il movimento (con tanto di nome e simbolo nuovo).
Le prime parole di Alfano come segretario in pectore sono state concilianti, eppure risolute e non banali (“primarie per tutti” è il nuovo motto), e personalmente le ho apprezzate. Serviva un po’ di moderazione dopo le ultime sbroccate di Berlusconi e compagnia. Però per me Angelino rimane anche l’estensore di leggi bocciate a più riprese dalla Corte Costituzionale. Che per un giurista equivalgono ad errori da matita rossa. Leggi innegabilmente ad uso e consumo del premier. Evidentemente mettere il cappello su leggi così traballanti gli ha valso sonori e dolorosi ceffoni, ma anche la riconoscenza e la stima incondizionata del capo. Ed ora Angelino passa all’incasso.