E’ una serata come tante a Quartu Sant’Elena, una città turistica sarda attaccata a Cagliari come un grappolo di emorroidi. Io con a seguito la mia fidanzata Gladys mi accingo a pagare il conto della pizzeria come una serata qualunque, ignaro dello spettacolo che mi sarebbe parato dinnanzi alle pupille. Un capannello di ragazzi entrano in maniera rumorosa e disordinata nel locale, ordinano un paio di birre da portar fuori. “Quante birre ci escono con questi?” un tipo corpulento e dallo sguardo non molto lucido avvicina al bancone qualche banconota da cinque euro stropicciata e monete che scivolano via da mani sudaticce. La cameriera riempie velocemente due buste di plastica blu non vedendo l’ora di liberarsi di quella clientela così variopinta. Poco prima di vedere la cameriera rivolgersi a me con aria visibilmente sollevata per essersi liberata di quell’impaccio, non posso fare a meno di notare due candele portate da un tizio segaligno e con la barba di due giorni. Penso dunque ad una fiaccolata, e collego il fatto alle ultime vicende degli operai della Alcoa, le cui giustificate proteste hanno paralizzato l’isola nelle ultime ora.
Mi tranquillizzo e mentalmente solidarizzo con gli operai mentre esco con Gladys sottobraccio. Mi bastano pochi passi per realizzare l’abbaglio in tutta la sua grandezza. Il codazzo di persone, fattosi in quel momento piuttosto numeroso, non è di natura politica e nemmeno sindacale. Dagli slogan e dagli striscioni realizzo ben presto che la fiaccolata è per la memoria di Valery melis, il caporalmaggiore che rientrato dal conflitto dei balcani nel 1999 e che ha contratto il linfoma di Hodgkin, la cosiddetta leucemia dei militari, e successivamente la morte. Ma Valery Melis, che in vita era un tifoso del Cagliari nonché ultras, è diventato ben presto uno stucchevole vessillo di propaganda dei tifosi organizzati, che nel suo nome e per conto del suo lutto organizzano fiaccolate, striscioni, cori politici, furtarelli da ladri di galline e qualche tafferuglio. Deciso a non cambiar programma e sordo alle lamentele della mia ragazza aumento il passo. Non sarà certo per colpa di una masnada di falliti a farmi rinunciare al tortino di pinoli e ribes con un sorso di amaro, servito giusto due isolati più avanti.
Scavalchiamo qualche bengala, striscione e qualche coro becero e ci fiondiamo dentro al bar; ma è proprio mentre sorseggio l’amaro ungherese per chiudere il pasto e la serata che l’orda fa irruzione anche al bar. Con una mano stringo il bicchiere fino a farmi sbiancare le nocche, con l’altra vado a stringermi nel petto il portafoglio. Il via vai di tifosi duri e puri termina dopo una decina di andate in bagno e qualche risata sguaiata. Il conto della serata per il bar tutto sommato è contenuto, giusto qualche furtarello al bancone, qualche cioccolato troppo luccicante e irresistibile per le gazze ladre, e una borsetta di una cliente.
Prima di uscire faccio passare un po’ di tempo. Gladys in tutto il tempo ha finto di leggere il giornale e mi ha rivolto dei monosillabi nervosi. Lei voleva tornare a casa e con quel suo comportamento vuole farmelo pesare in qualche modo. Fuori dal bar c’è solo qualche passante intirizzito e qualche coccio di bottiglia lasciato come segno della loro fiaccolata d’amore.
“che senso ha ricordare una persona in questo modo?” dice a voce sommessa la mia lei, e questa volta tocca a me fare scena muta stringendomi nelle spalle e rivolgendole uno sguardo sconsolato.
Io ho assistito a una scena ancora migliore, visto che abito a pochissimi metri dalla casa dei Melis davanti alla quale la fiaccolata si è fermata.
A un certo punto un ragazzo ha acceso due fumogeni, uno dopo l’altro, con le scintille che andavano a colpire gli operatori del 118 fermi sul ciglio della strada: si è avvicinato un tipo con sciarpa rossoblu e cappuccio che gli ha preso il fumogeno dalla mano e, con tanto di rincorsa, l’ha lanciato in aria verso il marciapiede di viale Colombo, all’altezza del negozio di ottica e del vialetto dal quale escono le ambulanze.
Alla base della fiaccolata c’era indubbiamente un bel gesto ma non dimentichiamoci che buona parte dei partecipanti non è certo cresciuta dai salesiani e dalle orsoline….
Certo che uno che fa tanto il moralista e poi tagga un articolo con “meglio un figlio frocio che un figlio ultras” dimostrando con la parola “frocio” il suo diprezzo per gli omosessuali dimostra tutta la sua pochezza intellettuale. Asino.
Ultras