Una delle parole più belle per ciò che evoca e più abusate in tutte le sue forme è “libertà”.
Come per tanti altri concetti della nostra lingua italiana così ricca e poetica spesso il significato vero di certe parole lo si comprende confrontandole con il loro opposto.
Schiavitù quindi. Eppure la ricerca di una libertà finta paradossalmente è una schiavitù.
Amore, felicità e libertà assumono valori diversi a seconda di chi li pronuncia e del contesto nei quali sono inseriti.
Se prendiamo la parola libertà in politica ad esempio possiamo citare tante correnti di pensiero e ideologiche che nella loro denominazione contengono la radice di questa parola: liberali, liberaldemocratici, libertari, libertini, semplicemente liberal o, come accade in Italia, liberal popolari.
Prendiamo ad esempio l’etichetta “liberal”.
In Italia è una testata molto vicina all’UDC, partito erede della Democrazia Cristiana che racchiude i cattolici che sognano un ritorno del grande centro in contrapposizione con il bipartitismo.
In USA, lo stesso termine, lo si assocerebbe ad un partito di sinistra, progressista, interessato alle questioni sociali ma attento ai diritti individuali.
Così capita di sentire la parola libertà in bocca a Berlusconi, ripetuta più e più volte come un mantra e nelle parole di un giornalista come Giampiero Mughini, non proprio berlusconiano, ad invocare la libertà di Santoro di andare in onda con la sua trasmissione Annozero.
Il concetto di libertà in politica è molto antico e vede uno Stato che svolge le funzioni minime per l’amministrazione di un Paese interferendo il meno possibile sulla vita e sulla morale dei cittadini.
E’ ovvio che un concetto così alto, portato all’esasperazione sfocia nel libertinaggio, nell’anarchia e spesso nel laicismo.
Sembra un peccato però relegare il concetto di libertà solo alla sua accezione politica.
La libertà è una conquista difficile, ognuno ha raggiunto il suo grado di libertà dalle cose e dalle situazioni di cui è schiavo e molti vivono in quella condizione che sembra libertà, in apparenza, ma più spesso è una sottomarca.
E’ una sottomarca quando di fronte alla legge diventa ora impunità, ora giustizialismo;
quando nella stampa si trasforma dalla libertà di scrivere la verità o perlomeno di informare, nella libertà di calunnia;
quando quella di opinione si trasforma nell’imposizione dell’opinione;
quando quella sessuale diventa libertinaggio, mercificazione del corpo, sfruttamento e schiavitù sessuale;
quando la libertà di impresa diventa sfruttamento del lavoratore e la libertà di culto diventa laicismo.
La libertà non si misura con le classifiche e non è nemmeno dipendente da quanto si può criticare il potere o ci si autodefinisce indipendenti.
La libertà in sè forse non è visibile e nemmeno palpabile, un po’ come la luce che esiste ma la si vede solo quando colpisce un oggetto così la libertà si vede quando colpisce e riempie la vita di un uomo e una donna.
La vita e non solo le parole o le intenzioni.
La libertà si può banalizzare, abusare, maltrattare ma gli uomini e le donne libere li riconosci subito e nella maggior parte dei casi la loro forza è mite, non si mette in mostra, non protesta a voce alta e soprattutto non è un modo di fare ma una convinzione risiede nel suo essere.
Viviamo in un paese libero? Questa è la domanda che echeggia in queste settimane.
Per rispondere si potrebbero utilizzare le parole del grande Longanesi: “Non è la libertà che manca. Mancano gli uomini liberi”.
La libertà tirata per la giacchetta
symbel (redattore)
il concetto politico più antico di libertà è quello delle poleis ed è l’esatto contrario dello “stato minimo”.
Quel concetto, prevedeva (e prevede) una partecipazione attiva alla vita politica (la vita della polis) da parte di tutti gli uomini liberi che esprimevano la propria libertà partecipando alledecisioni.