Dopo la pubblicazione della classifica delle migliori Università italiane, torno ad occuparmi del mondo accademico. Secondo una recente statistica, c’è una differenza media di ben 1.000 euro annuali tra una retta universitaria al nord ed una al sud. Mentre uno studente del settentrione sborsa tra i 1000 ed i 1.500 euro annuali per laurearsi, nel meridione si spendono circa 350 euro annui. Questa differenza, dovuta a tasse indicizzate al reddito procapite ed a copiose esenzioni, comporta un patto implicito tra Rettore e studente: ti offro poco ma chiedo poco.
La qualità si paga, lo sappiamo tutti. La questione sta nel decidere se rendere più elitario il mondo accademico (situazione che si verificherebbe innalzando sensibilmente le rette) oppure continuare a perseguire il concetto di “Università per tutti”. Chi sostiene la via elitaria credo vada controcorrente rispetto agli ultimi 10 anni di politiche dell’istruzione. In questo lasso di tempo l’unico obiettivo sembra sia stato migliorare le statistiche del numero di laureati in Italia senza badare alla qualità della preparazione dei professionisti del futuro, creando l’aberrazione della laurea di primo livello di cui non se ne capisce bene il senso (tanto che le Facoltà con maggior storia, tradizione e prestigio hanno difeso coi denti la propria laurea a ciclo unico) e la moltiplicazione dei Corsi creando materie di studio ad uso e consumo dei professori in cerca di cattedra. Siccome le bugie hanno le gambe corte, a questa invasione di laureati di dubbia qualità il mondo “reale” ha risposto con maggiore selezione dei datori di lavoro (che leggendo i CV si fanno impressionare ben poco da una laurea seppur brillante, ma buttano subito l’occhio ad esperienze lavorative pregresse ed a tirocini presso professionisti) e inasprimento delle prove d’esame di Stato per accedere agli albi di categoria da parte degli Ordini professionali (con effetto collaterale di rinfocolare il corporativismo).
Cambiare marcia è d’obbligo. I costi del cambiamento però non vanno addossati completamente agli studenti (ossia sulle famiglie che li sostengono fino alla soglia dei 30 anni) creando un’analfabetizzazione di ritorno soprattutto nelle regioni depresse, ma vanno condivisi cercando di rendere più efficiente l’intera alta formazione ed abbattere i baronati che esistono ancora a tutti i livelli.
sono convinta che un grande problema dell’università italiana è che non c’è nessuna attenzione per gli studenti lavoratori. chi deve anche lavorare ormai è costretto a rinunciare all’università perchè nessuno viene incontro alle esigenze dei tempi dei lavoratori. io ad esempio mi sono dovuta iscrivere ad un’università telematica (unisu) per riuscire a studiare e lavorare contemporaneamente. ma vi sembra giusto?
Racconta un po’ l’esperienza di una università telematica. Funziona? io sono sempre stato scettico