Fini e la corporazione degli ex imbavagliati esultano. Sono loro a rallegrarsi delle modifiche del DDL sulle intercettazione che, a loro dire, minerebbe la libertà di stampa. Le intercettazioni continueranno ad essere rese pubbliche, ma solo quelle rilevanti (e a giudicarle rilevanti saranno gli stessi ex imbavagliati, come ieri e l’altro ieri ancora) e dunque divulgate per il pubblico ludibrio.
Una sconfitta del governo sotto tutti i punti di vista, che rende l’attuale DDL poco più che carta straccia. Non che prima non fosse vietato pubblicare stralci di intercettazioni o brevi passi di interrogatori, gli articoli 684 e 329 del Codice di procedura penale avrebbero dovuto mettere dei paletti, solo che venivano ignorati come spesso accade nel Bel Paese. Si pagava (e si continuerà a pagare) una multa insignificante di circa 130 euro, una spesa irrisoria risarcita ampiamente dallo scoop e sputtanamento a mezzo stampa dell’indagato di turno. Per questo e per tanti altri motivi il piagnisteo degli auto imbavagliati suona falso, posticcio, fatto giusto per mendicare del facile consenso per una categoria che ha perso da anni sia la bussola oltre che la credibilità, sotto scacco da un sindacato in cerca di visibilità e da un ordine dei giornalisti che non ha un motivo di esistere, se non quello di far lavorare gli amici e i figli degli amici, pena restare pubblicista vita natural durante. La sostanziale differenza con il precedente ordinamento erano le sanzioni, ben più cospicue, e il divieto di pubblicare le intercettazioni prima che ci sia un processo.
Vi siete mai chiesti perché nel bel libro di Rizzo e Stella vengono affrontate tutte le caste, partendo dai portaborse fino ai cavalieri di malta, ma non c’è nessuna menzione alla stampa? Vi siete mai chiesti perché quando scoppia uno scandalo sessuale compaiono modelle, sportivi, politici, faccendieri, pizzicagnoli, saltimbanchi, nani, ma mai, e dico mai, qualcuno iscritto all’ordine dei giornalisti? Come se questi ultimi si riproducessero per spore. Certo, ogni tanto qualcuno cade sotto i colpi del fuoco amico, e penso al caso Dino Boffo, ma sono eccezioni, incidenti di percorso.
E’ una battaglia persa. Inutile dire che negli altri paesi non funziona così, dal Cile all’Inghilterra, passando per la Francia. Perché i diritti del cittadino, ancorché indagato, e la sua privacy vengono rispettate come è naturale e normale che sia, senza che nessuno strilli al regime. La verità è che la casta dei giornalisti vuole pubblicare tutto su tutti senza dover rispondere a nessuno del loro comportamento, e tenersi al di sopra delle legge per conservare il loro status quo.
Aveva molto più senso la manifestazione di quasi un anno fa, che se non altro puntava il dito sulle querele a pioggia, quelle si intimidatorie, che costringono i giornali non coperti da colossi editoriali a non poter far fronte alle spese legali, e quindi sostanzialmente di non poter fare il loro lavoro. Era il caso di Report, migliore trasmissione giornalistica per distacco, potrebbe essere il caso de Il fatto quotidiano, alla ricerca di una copertura assicurativa per far fronte a queste spese. Ed è certamente il caso de il “legno storto” un blog vicino alla destra che rischia la chiusura a seguito delle querele di Luigi Palamara, Piercamillo Davigo e persino dal sindaco di Montalto di Castro, Salvatore Carai, del Partito Democratico.
Ammetto di non aver mai letto il legno storto, e non ho idea se gli articoli contestati siano meritevoli di querela, ma mi piacerebbe che la mia continuasse ad essere una scelta e non una eventuale imposizione. O bavaglio se preferite.