E vissero tutti felici e contenti… no.
Quando Diego Armando Maradona, uno dei calciatori più forti al mondo, per molti, quasi tutti, IL più forte calciatore di tutti i tempi, fu nominato commissario tecnico della Selección, ovvero della nazionale Argentina, tutti pensarono che fosse più che altro un’operazione folkloristica. I maligni che fosse una buffonata, i più benevoli gli attribuirono un qualcosa di romantico.
La favoletta inizia con il mondiale e con i primi risultati positivi degli argentini nonostante il bioritmo negativo di Messi, giovane giocatore insignito del titolo di erede di Dieguito, il più credibili dell’ultimo decennio dopo che questo epiteto è passato senza successo di spalla in spalla a molte meteore del calcio argentino.
Che in realtà si trattasse di una storia con i contorni sfumati come in tutti i sogni che si rispettino si era capito da subito perchè le vittorie di Messi e compagni in alcuni casi erano dettate da casi fortunosi, in altre dalla piccolezza estrema degli avversari. La formazione biancoceleste sembrava messa in campo con un algoritmo a numeri casuali, come se i giocatori e le posizioni fossero state di volta in volta pescate dalla mano tremolante di un imberbe bendato, il resto l’hanno fatto l’estro di alcuni giocatori e la potenza in attacco.
Una storia perfetta, il giocatore più forte del mondo, con il suo abito delle migliori occasioni, un doppiopetto grigio da statuina sulla torta di nozze, un clochard tirato a lucido che 24 anni prima guidava praticamente da solo la sua nazionale alla vittoria da giocatore ora si apprestava a fare lo stesso ma da allenatore.
E tutti i giornalisti dietro a osannare, a stendere un tappeto di lingue al suo passaggio, a sorridere di ogni rozzezza mostrata nelle conferenze stampa a idolatrare chi è già, per alcuni, dio del calcio.
Il boccone era troppo ghiotto, l’uomo ritrovato, ripescato dal baratro della droga, rimesso in sesto dopo essersi avvicinato più volte al confine del non ritorno, l’uomo che abbraccia i suoi giocatori e saltella in campo come preso da convulsioni, l’uomo che porta la mano ai genitali quando gli viene adombrata la possibilità di portare a casa la coppa.
Il sogno si infrange però di fronte alla prima sfida di un certo livello. Il sogno si infrange non di fronte ai “panzer” tedeschi ma di fronte ad una Germania pimpante, fantasiosa, per nulla rocciosa ma sfuggente e veloce, fantasiosa, ubriacante e beffarda.
Quattro pappine e tutti a casa. Mentre i tifosi argentini ancora festeggiavano sulla disgrazia toccata ai brasiliani si vedevano cadere in testa la sonora sconfitta, senza appello.
Felipe Melo, capro spiatorio delle sconfitta verdeoro quasi viene linciato al ritorno a casa, Dunga quasi considerato un disertore e il pullmann della squadra inseguito e sputato manco fosse l’untore di un morbo infame.
L’Argentina torna a casa, accolta tra gli applausi. Maradona ancora osannato perchè Diego non ha mai colpe, lui non sbaglia mai perchè sbaglia tutto, lui non perde mai perchè o vince tutto o perde tutto. Maradona però lascia, lo ha annunciato oggi, lascia nonostante probabilmente non sarebbe stato esonerato, lascia perché lui ormai non è più un uomo ma una statuina del presepe napoletano, non si discute, si venera e tutto sarebbe andato a meraviglia se anche i suoi giocatori, al cospetto dei multietnici tedeschi, non avessero seguito la stessa metafora, diventando anch’essi statuine in mezzo al campo.
La favoletta di Maradona
symbel (redattore)
Maradona ha compiuto un’enormità di errori ma allo stesso tempo è stato utile per sfatare alcuni miti calcistici.
1) Maradona ha dimostrato che un ct non può essere solo un selezionatore ma deve anche allenare: lui credeva che per vincere il Mondiale sarebbe bastato mettere in campo 11 giocatori, incoraggiarli, sbaciucchiarli, insomma, fare gruppo e basta anche senza uno straccio di schema
2) A Maradona, proprio per le sue carenze tattiche, era stato affiancato Carlos Bilardo, ct dell’Argentina campione nel 1986 e finalista nel 1990.
Qualcuno l’ha visto in panca?
E’ stato scaricato per far posto agli amiconi di Diego che, seduti accanto a lui, sembravano i protagonisti di qualche film di Scorsese sulla mafia italo-americana
3) Convocazioni e squadra sbagliata.
Non c’è bisogno di ricordare Zanetti e Cambiasso lasciati a casa.
Quello che sconvolge sono i pochissimi minuti dati al Kun Aguero, a Diego Milito e la cervellotica scelta di puntare su Veron salvo poi scaricarlo dopo 2 partite.
4) Gli errori dei critici.
Come ha fatto notare Simone tutti gli adetti ai lavori hanno esaltato l’Argentina dimenticando che in fin dei conti aveva affrontato Grecia, Nigeria, Corea del Sud e Messico con tutto il rispetto.
Alla prima squadra forte e organizzata l’Argentina è stata schiantata….