Tremonti, l’Harry Potter della finanza creativa, ministro dell’economia nel governo Berlusconi in carica e di quelli passati, dice testuale: “Non credo che la mobilità di per sé sia un valore, penso che in strutture sociali come la nostra il posto fisso è la base su cui organizzare il tuo progetto di vita e la famiglia”.
Urso, AN della prima ora, colonnello del Gianfranco Fini 2.0, auspica l’introduzione dell’ora di religione islamica nella scuola.
Gianfranco Fini stesso, autore della Bossi-Fini, legge sull’immigrazione definita a suo tempo dai soliti benpensanti una legge “disumana” oggi si prodiga per un diritto di voto e di cittadinanza agli immigrati in tempi brevissimi.
E poi, Brunetta, che ci ha inizialmente entusiasmato con le sue esternazioni e via via un po’ ammorbato, il giustiziere del fannullone, il Walker Texas Ranger della Pubblica Amministrazione, ci dice che l’assenteismo è aumentato, che deve correggere il tiro e fa pure mea culpa.
Mara Carfagna, la ministra delle pari opportunità, la donna più dileggiata dalle donne, il bersaglio preferito dai movimenti omosessuali e transgender (travoni) punta i piedi per presentare una legge sull’aggravante per omofobia in consiglio dei ministri.
Manca all’appello una Gelmini che dichiari: “mah, tutto sommato erano meglio tre maestri puttosto che quello unico, anzi ne aggiungo anche altri due così facciamo 5″ o un Angelino Jolie Alfano che dichiari: “il lodo Alfano è una boiata, io l’ho sempre detto, apprezzo la lungimiranza di Di Pietro”.
Esagero, forse, ma l’episodio di Tremonti mi sembra l’ennesimo di un governo dove più di un ministro fa delle dichiarazioni impegnative e poi se le rimangia o le ritratta. Va bene che è positivo il fatto che la ritrattazione nella maggior parte dei casi sia migliore della prima enunciazione ma quando si parla di “valori” forse è bene non giocarci troppo.
Sul posto fisso ad esempio la dichiarazione sembra un po’ superficiale perché il concetto racchiude tanti significati che vanno dalla certezza del contratto alla certezza dell’impiego che sono due cose abbastanza diverse.
La mobilità che significa contratti a progetto con stipendi bassi o allo stesso livello di chi però ha un contratto con molte più tutele non piace a nessuno e in questo caso le esternazioni del ministro sono dettate dal buon senso e quindi anche inutili perché scadono nell’ovvio.
Se per mobilità invece si intende la flessibilità, la caduta del concetto di “lavoro a vita nella stessa azienda” a favore di una maggiore valutazione delle professionalità e del talento in un mercato del lavoro vivo e se si parla di un lavoro sicuro e sì eterno ma non tassellato alla stessa scrivania e nella stessa azienda è tutto un altro discorso.
Insomma ci sarebbe da dibattere e approfondire e sarebbe bello che dichiarazioni di questo tipo venissero fatte al termine di un dibattito e magari (ma qui siamo alla pura fantasia) dopo un confronto in consiglio dei ministri e meglio ancora con una bozza di legge sulla materia in tasca.
Invece vengono buttate lì e lasciate fluttuare nell’aere a inebriare Cisl e Uil, che esultano all'”iscritto onorario Giulietto” e la CGIL che però non concede mai troppa soddisfazione e abbozza.
Brunetta oggi replica: “Tremonti dà una risposta per l’uscita dalla crisi che io non condivido. Tornare indietro è più facile ma non risolve i problemi. Bisogna cambiare occhiali per capire come è fatto il nuovo mondo. Bisogna spalmare le esigenze di flessibilità su tutte le forze lavoro occupate mentre Tremonti vorrebbe una nuova società di salariati. Solo che questa non risponde alle esigenze di flessibilità che pone il sistema“.
Per oggi e su questo argomento sto con Brunetta ma domani chissà, magari se la rimangia.
Posto fisso, idee precarie
symbel (redattore)