Che la RAI intendesse festeggiare come si deve il 150° anno dell’Unità d’Italia mi era ben chiaro sin dalla partecipazione del pronipote adottato di Giuseppe Garibaldi all’Isola dei Famosi. Ieri abbiamo avuto un importante seguito: la serata a tema dedicata dal Festival alla bistrattata ricorrenza, forte della benedizione di Napolitano.
Dopo un intro di canzoni patriottiche retrò, con arrangiamenti orripilanti che sembrano provenire dal delta del Mississipi ed interpretazioni oscene, arriviamo al clou della serata: Roberto Benigni.
Il suo intervento è stato lunghissimo, ed articolato in più fasi:
1. entrata trionfale su cavallo bianco, con la classica musichetta giullaresca che ormai gli fa da colonna sonora
2. dieci minuti di satira su politica e dintorni
3. lunga esegesi dell’Inno di Mameli
4. canto a cappella dell’Inno stesso
5. standing ovation, inchini, frasi fatte e ostentata commozione di presentatori e platea tutta
Appena chiusa la parentesi Benigni mi precipito sul web per leggere i commenti, soprattutto di quelle anime pie che hanno la pazienza di fare il live blogging su tutte le serate sanremesi. Il tenore dei commenti era scontato e si divideva in due frange, di cui era un gioco da ragazzi individuarne il colore politico (ormai qualsiasi cosa è politica in Italia): da una parte chi osannava il Vate, fonte battesimale della sapienza e della cultura dentro cui il popolino ha immerso occhi ed orecchie purificandosi; dall’altra chi s’attaccava al cachet stellare (si mormora 200.000 euro) per un’oretta di tv, alla faccia del dono disinteressato alla Patria.
Sul cachet non mi dilungo, perchè non mi scandalizza. Gli interventi dei super-ospiti si aggirano sempre su quelle cifre. Che siano esagerate, non è polemica d’attualità.
Mi infastidisce invece il nauseante profumo d’incenso che si è levato sulfureo dal web per osannare un Benigni che invece ho trovato sottotono: un copione già scritto, prima ancora che pronunciasse una sola sillaba. Il toscanaccio non è stato per niente convincente nella sua esegesi dell’Inno, molto meno efficace ed in palla rispetto alle sue letture dantesche, ed ha raccontato gli accadimenti di quegli anni al pari di una favoletta sorvolando sulle grandi contraddizioni che hanno portato all’Unità e che ancora oggi ci portiamo dietro. Certo, era una serata celebrativa e doveva essere giocoforza gonfia di patriottismo a buon mercato. Ma allora che la si prenda come tale, senza vederci un’opera di acculturazione del popolino quando di agiografia si tratta.
Meglio un Benigni che sbertuccia Berlusconi, almeno strappa qualche risata. Anche perchè il personaggio e le sue vicende sono humus per battute di ogni tipo, e questo lo devono ammettere anche i Silvio-boys. E difatti il buon Benigni ci ha costruito gli ultimi lustri di carriera sulla satira anti-berlusconiana. Roberto se ormai sai far bene solo quello, fallo e facci ridere su Ruby e mignotte varie. Le persone intelligenti ti giudicheranno per la qualità delle battute e solo per quello, senza invocare la castrazione chimica della par condicio come un TelecoMasi qualunque.