Le donne scendono in piazza, si organizzano per una grossa manifestazione dopo quelle che si sono già svolte in diverse città italiane.
Il motivo della mobilitazione? Il Bunga Bunga!
Siamo passati da “l’utero e mio, me lo gestisco io”, passando per i famosi “dialoghi della vagina”, pornografia mascherata da paccottiglia intellettualoide per represse da teatro, transumando per “sex and the city”, mostrando magliettine con slogan lapalissiani del tipo “non sono una donna a sua disposizione” fino a giungere al must della ribellione femminile rappresentato dallo striscione “L’Italia non è un bordello”.
Alla guida di questo sommovimento popolare c’è l’impareggiabile, l’immarcescibile e, per finire in “ibile” direi la risibile Concitina De Gregorio, la pasionaria direttrice dell’Unità, il quotidiano con un piede nella fossa da parecchi anni salvato sempre in extremis, diciamo un tabloid in coma vigile. E lei è l’ospite (quasi) fisso di Ballarò che quando non siede sulle poltrone messe a disposizione da Floris significa che te la ritrovi ad indignarsi nelle scalinate di Santoro ad Annozero. Lei, quella che per rilanciare l’Unità ha tappezzato le città di culi infoderati da una minigonna in jeans con infilata nella tasca posteriore il quotidiano. Chi ha prestato il culo per la buona causa? Non si sa, perché il viso non si vede, a che serve il viso? Nell’ambiente si vociferava che la coppia di glutei fosse della De Gregorio stessa e in quel caso, complimenti per le terga ma la sostanza non cambia, evidentemente quella pubblicità non era inquadrabile nel discorso della donna oggetto…
Ovviamente, come in tutte le battaglie finto-femministe e ipocrite che si rispettino c’è in prima fila un maschio. Si sa che peggio di una donna femminista c’è solo un maschio femminista e in questo caso abbiamo niente popò di meno che il mitico Gad Lerner che da qualche anno ci smeriglia le gonadi con filippiche sulla dignità della donna messa a rischio dal Berlusconismo, da Antonio Ricci e da ragazzette scosciate in TV come se in passato, decenni prima dell’avvento del Cavaliere del Bunga Bunga, nel piccolo schermo non ci fossero le ragazzette ignude.
Poi ci si mette pure D’Alema che dichiara che se sarà ben accetto parteciperà anche alla manifestazione insieme alla moglie e alla figlia, forse non gli hanno ancora detto che è una regata e non una manifestazione a piedi.
L’aspetto più interessante di tutta la mobilitazione è che queste donne hanno intenzione di scendere in piazza per far capire all’Italia che ci sono professioniste, casalinghe, lavoratrici che vanno a letto presto la sera, si alzano presto la mattina, fanno il proprio dovere e non hanno bisogno di mettere in mostra il corpo per andare avanti nella vita. Naturalmente questo concetto viene esteso all’utilizzo di epiteti più o meno coloriti nei confronti di chi, invece, sceglie liberamente di intraprendere altre strade.
Queste donne non scendono in piazza perché vorrebbero che la magistratura si occupasse con maggiore solerzia delle donne, anche minorenni, che vengono quotidianamente abusate in famiglia, sui luoghi di lavoro, per strada, ma perché si dimetta la Minetti e Ruby Heartbreaker diventi la nuova icona del porcellismo berlusconiano dopo la D’Addario e altre sciacquette consenzienti e liberissime.
In altri paesi si scende in piazza contro il despota, per la democrazia e il pane sotto i denti, da noi si scende in piazza contro la Minetti, le cubiste, le veline, le Arcorine e circensi vari.
Nel Paese dove si discute ancora sulle quote rosa alla stregua delle riserve di pesca per le aragoste non c’è da meravigliarsi più di tanto, c’è da meravigliarsi semmai di quanto le donne riescano con abilità, ancora una volta, a scagliarsi con violenza contro altre donne. C’è da meravigliarsi non tanto perché si dovrebbe tacere tutto in nome di una fantomatica solidarietà femminile, quanto per il fatto che si amplifica all’esterno una condizione della donna che non corrisponde al reale e non c’è bisogno di scriverlo negli striscioni.
Insomma urlando al mondo che la donna italiana non è una puttana si finisce per insinuare il dubbio a chi il problema non se l’era nemmeno posto, ammesso che per tutti sia un problema.
Donne che odiano le donne
symbel (redattore)