Il 31 gennaio ricorre l’odiosa scadenza del canone RAI, la tassa certamente più detestata dagli italiani. In realtà la possibilità di disdetta esisterebbe pure, ma è così arzigogolata e burocratica da scoraggiare anche i più determinati.
Il canone RAI, è bene ricordarlo, è una tassa che non colpisce il servizio fruito, ma bensì il semplice possesso di un televisore o di uno strumento (computer, netbook, tablet o un moderno cellulare) in grado di ricevere il segnale televisivo, non necessariamente RAI. Va da se che il balzello su un prodotto non di lusso e largamente diffuso risulta particolarmente iniquo, sia perché colpisce il possesso di un bene comune, e sia perché colpisce tutti indistintamente non facendo nessuna distinzione di fasce di reddito, e soprattutto perché non prevede l’esenzione o forti sgravi nei confronti degli invalidi e pensionati, come invece gran parte dei tributi degli enti locali.
Da settembre 2010 l’unica eccezione, bontà loro, sono per gli over 75 che vivono da soli con una unica fonte di reddito mensile inferiore di € 516,46. Una categoria, secondo il telefono blu, diffusa in Italia quanto gli esemplari del Gronchi rosa.
Negli ultimi anni destra, sinistra, radicali, IDV financo i grillini, hanno cavalcato la battaglia del canone RAI, a volte per puro opportunismo spicciolo, molto più spesso per afflato demagogico.
Oggi, anno 2011 DC, forse sarebbe il caso di porsi seriamente il problema non tanto del servizio pubblico in sé, argomento tedioso quanto inutile, ma bensì fare delle considerazioni sull’utilità nel foraggiare una azienda sotto scacco delle logiche partitiche ed un servizio che forse tra meno di qualche decade sarà totalmente rimpiazzato da internet (per le nuove generazioni è così da un pezzo).
Ma per affrontare seriamente un simile tema è necessario pertanto un cambio generazionale anche in politica, occorre augurarsi che l’ala progressista della sinistra abbia il sopravvento e che cannibalizzi i residuati bellici post sessantottini e che la destra diventi realmente un movimento liberale, senza avere un possessore di reti televisive alla sua guida.