I mondiali di calcio in Sud Africa erano già partiti con delle premesse interessanti. Una lunga retorica sull’Africa con punte di melenso umanitarismo e terzomondismo ben condito da un’innaffiatura di luoghi comuni abbondante.
Scacciata immediatamente l’immagine e il suono delle parole del presidente della Rai Garimberti che si vantava di trasmettere 24 partite su 64 (sic!) delle quali alcune in HD, con un “ottimo HD” (doppio sic!) e altre amenità varie e nel frattempo c’è chi si ingegna, su siti pieni di banner pubblicitari anche equivoci e spyware autoinstallanti da paura per vedere le partite in streaming senza farsi salassare da Sky, ecco che il mondiale quatto quatto inizia.
Ma torniamo al principio: i tormentoni.
Il primo tormentone sono i termini che i radiocronisti, i commentatori e i giornalisti in genere ci propinano ogni due secondi e che fanno parte del vocabolario di questa competizione internazionale in terra sudafricana.
“Bafana bafana”, incitamento ai ragazzi della nazionale sudafricana che viene citato fino a provocare reflussi gastrici incontrollabili. E’ incredibile come la pochezza dei commentatori Rai non possa fare a meno di utilizzare questo termine senza soluzione di continuità. “Waka waka” invece è l’inno dei mondiali cantato da Shakira e molto probabilmente copiato o perlomeno stranamente simile ad un altro motivo africano. E poi, last but not least, le “vuvuzela”, ovvero quelle trombette da stadio che fanno un rumore paragonabile solo a quello di una zanzara che vola nel padiglione auricolare in una notte d’estate a 40 gradi. Le trombette che già fanno da sottofondo alle risibili telecronache delle partite come se non ci fosse modo, nel 2010, di equalizzare l’audio in modo da attenuarle, occupano anche un quarto delle citazioni del cronista stesso e dei suoi ospiti. E’ obbligatorio citare ossessivamente queste trombette infernali? E con tanto gusto? Almeno si potrebbe variare e ogni tanto chiamarle con il loro nome alternativo “lepatata” che è anche più simpatico ed evocativo di cose più gustose.
Questo per quanto riguarda il vocabolario, invece per tornare al terzomondismo da quattro soldi ci dobbiamo sorbire tutti i luoghi comuni più “pelosi” su Mandela, Mamma Africa, il Safari, l’amore per il calcio giocato a piedi nudi, l’apartheid, l’elefante che gioca a pallone, le danze tribali.
Tutto bello, bellissimo folklore, ma l’Africa vista in una sua porzione (non dimentichiamo che il Sud Africa è uno degli stati economicamente messi meglio e alcune città che non hanno nulla da invidiare dal punto di vista urbanistico a cittadine europee) e sotto la lente dei mondiali di calcio non è l’Africa vera o perlomeno non è l’Africa tutta.
Sarà la pochezza della nostra Nazionale (e in vero anche le altre “grandi” non hanno dato molto spettacolo), che spinge a divagazioni filantropiche o disquisizioni circa l’aerodinamicità del pallone sgusciante o le trombette frastornanti ma viene voglia di mettere l’audio delle partite a zero e godersi i colori, i sorrisi e le lacrime dei tifosi che quelli sì, alla fine, sono uno spettacolo che merita anche l’alta definizione.
Tormentoni mondiali
symbel (redattore)