Haiti: scosse, twitter e lacrime

Haiti: scosse, twitter e lacrimeAd una scossa che gli esperti hanno stimato con una forza distruttrice pari a 35 volte la potenza del in Abruzzo, ha raso al suolo intere città compresi tre ospedali. L’unico rimasto in piedi è ormai chiuso perché non riesce più ad accogliere altri pazienti.
Le immagini frammentarie che arrivano da quelle terre sono sconfortanti e dire che nell’immaginario collettivo i nomi delle località menzionate sono affiancati normalmente al concetto di vacanze, ascelle al vento, camicie dalle fantasie sgargianti, atolli sabbiosi circondati dal mare azzurro e barriere coralline popolate da pesci multicolori, esotici venditori di cocco senza l’accento napoletano e sedie a sdraio con i piedi sul mare piatto.
In realtà Haiti è uno dei paesi più poveri del mondo, con una lotta di bande e predatori tra i più feroci ma giustamente non è che nei depliant in mostra negli scaffali delle agenzie di viaggio ti schiaffano sotto il naso il bambino con la mitraglietta.
Quello che incuriosisce sono i modi che i giornalisti utilizzano per descrivere questi avvenimenti catastrofici e come si cerchi il più possibile di rendere grave l’atmosfera, possibilmente giocando anche su presunti sensi di colpa, rilanciando sui termini. Si passa quindi da “catastrofe” ad “”, da “tragedia immane” a “”.
Se come teme il governo locale i morti saranno oltre centomila ogni termine utilizzato può risultare giustamente riduttivo ma c’è modo e modo di informare e rendere un servizio a chi vuole saperne di più.
Dal terremoto in Abruzzo in poi ogni tragedia è supportata da Twitter, il social network prezzemolino che in Italia non è ancora decollato, che piace tanto citare ai giornalisti perché fa tanto moderno nel riportare le notizie fino a quando qualcuno non scriverà anche lì che vuole uccidere un politico o si scopre che viene usato da una rete di pedofili.
Abbiamo tutto un florilegio di servizi con musichette struggenti in sottofondo, oppure le immagini con l’audio originale dove si sentono pianti, urla e lamenti. Volti insanguinati e arti spezzati in bella mostra al Tg, mani che spuntano dalla polvere e soccorritori che frugano tra le a mani nude.
Dopo il terremoto in Abruzzo, l’alluvione a Messina, gli scontri in Iran, il maltempo, i pestaggi a Rosarno e le esondazioni del Tevere, finisce tutto nello stesso calderone e quasi quasi viene voglia di cambiar canale, di sentir parlare d’altro. Nei giornali, paginoni e paginoni, in tv speciali a tutte le ore, in radio anche le sane trasmissioni di scazzo vengono interrotte per aggiornarci sul terremoto ad Haiti per dire il nulla, nulla di più di quello detto cinque minuti prima.
Perché quando succede “l’Apocalisse” bisogna esserci, bisogna coprire l’evento, dare continuamente le quote aggiornate dei cadaveri, mandare in onda i filmati e le foto sfocate fatte dai testimoni sopravvissuti e far intervenite, immancabile, uno dei responsabili dell’Unità di Crisi della Farnesina.
Prossimamente il numero di SMS per mandare gli aiuti, il numero per i possessori di CartaSI e i raccontini dei gesti eroici e magari del cagnolino che veglierà un mese davanti alla casa del padroncino morto sotto le macerie.
Sì sa, i media si cibano anche di polvere in mancanza d’altro, ma la necrofagia beh, quella risparmiamocela.

symbel (redattore)

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