Drag me to hell

è rimasto quel ragazzone del Michigan cresciuto a pane e , con l’unico merito di non prendersi troppo sul serio. Sono passati diversi lustri dal ragazzino pallido che armato di ketchup, lattice e steady cam confezionava un prodotto fresco come La Casa, forse il film più genuino di Raimi per quanto rozzo nella confezione.

Fu la sua fortuna. La saga di evil dead andò discretamente al botteghino, accontentando sia la critica che il suo pubblico adorante. Poi Raimi si è parzialmente allontanato dal genere, girando un po’ di tutto dal thriller al westner, con esiti godibili ma senza nessun picco. Poi è ritornato a produrre film horror, un po’ per passione, un po’ perché il suo cognome era una cambiale sicura da incassare.

Ora ci ritroviamo con , il suo ultimo lavoro. Il film parla una di una biondina insipida che lavora in banca nel settore prestiti. La giovane si trova presto alle prese con una zingara disperata, che rischia di perdere la casa perché non può far fronte alle scadenze del mutuo. Questa forse è la parte che fa più paura, in quanto tangibile e presente nella vita di tutti i giorni  ben più di un cimitero indiano. In fondo gli elementi che provocano raccapriccio sono le banche ed etnie come quelle rom, così sfuggenti e soprattutto così diverse da noi.

Qua iniziano i cliché del genere. La zingara sentendosi umiliata dal rifiuto della ragazza andrà di matto, arrivando a strapparle un bottone della giacca e facendole una fattura. Da qui un tripudio di computer grafica, getti di sangue come geyser, bile verde vomitata, capre parlanti e gli immancabili medium e santoni. C’è tutto, anzi c’è anche troppo. Drag me to hell è un prodotto sicuramente ben confezionato e che non mancherà di accontentare l’appassionato di genere (a patto di non avere più di sedici anni), ma fallisce nel suo tentativo primario: quello di spaventare lo spettatore (e non è poco) o quantomeno tenerlo in tensione. Persino il finale, che evito di accennare, risulta quasi telefonato. Così poco originale da ricordarmi vagamente la fine del bel romanzo gotico the monk (1796) di Matthew Gregory Lewis, dove appunto niente è come sembra.

E’ difficile proporre qualcosa davvero di originale, Raimi ne è conscio e nemmeno ci prova, consapevole del fatto del fatto che i ragazzini andranno a vedere i suoi film, esattamente come faceva lui trent’anni prima, folgorato dalla poesia del sangue e della carne di quel visionario di Dario Argento.

Dedicato a Mendoza aka stefano Petrelli (1963-2009)

Martin Sileno (redattore)

Martin Sileno

collaudatore di illusioni, menefreghista e blogger

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