Chi insegue i propri sogni è sempre da lodare, a prescindere dai risultati che si ottengono. Ma nel recensire il disco dei Recordings of the flesh i risultati ci sono, eccome. Quelli che potrei ben definire industrial rock di ottima fattura, anche se sia il terzo millennio che le modalità d’incisione potrebbero coniare il nuovo termine web-rock.
La storia del gruppo sembra un romanzo già letto per chiunque abbia avuto velleità musicali. La band nasce come gruppo di amici capitanati da Massimo Usai, vena creativa del progetto. I risultati cominciano ad arrivare, con un paio di demo ed EP apprezzati dagli amatori. Ma anche un semplice hobby, quando sale di livello, richiede perseveranza ed impegno sempre crescente. A questo punto entrano in gioco motivazioni ed ambizione, ed è qui che spesso la prova non viene superata. I gruppi si sfaldano perché non tutti hanno il sacro fuoco della rockstar, senza se e senza ma, ed i Recs non sembrano far eccezione. E’ qui che entra in gioco il futuro Premio Nobel per la Pace, ovvero monsieur Internet. Questo mezzo dalle enormi potenzialità permette ad Usai di vedersi chiudere una porta per spalancarsi un portone. Costituito un sodalizio con la tastierista Sara Melis, coinvolge nel progetto un bassista del Minnesota già conosciuto nell’ambiente per i suoi Small White (Justin Wood) e un batterista spagnolo di fama nel world web (Xavier Dilme), ed avvia una collaborazione a distanza che solo qualche anno fa sarebbe stata utopia. La triangolazione tra Minnesota, Catalogna e Sardegna crea uno spazio chiamato Illusory fields of unconsciousness, ora liberamente scaricabile dal sito della band http://www.recsoftheflesh.com/, e che comunque ha trovato una piccola etichetta discografica disposta a distribuirlo.
Pur non essendo propriamente il mio genere musicale, basta un semplice ascolto dell’album per rendersi conto di esser di fronte ad un lavoro di pregevole fattura, che potrebbe far invidia anche a qualcuno che in TV si spaccia per professionista della musica. Gli arrangiamenti sono ben curati, i suoni equilibrati, e si ha la sensazione che gli strumenti siano in mano a persone che sanno come usarli.
Da quel che s’intuisce dagli scritti in inglese del leader della band, ora si sta cercando di dare una consistenza meno virtuale al gruppo di modo da portare sotto i riflettori il disco in versione live. Per chi ne avrà la possibilità, sarà una buona occasione per sentire con le proprie orecchie le qualità dei Recs of the flesh. Per chi invece sta dall’altra parte dei mari o degli oceani, non mancherà l’occasione di leggere ed ascoltare ancora le avventure di questo gruppo rock post-moderno.
A onor del vero i primi a coniugare internet e musica furono i Runner Snails, che senza senza incontrarsi in studio di registrazione ma scambiandosi mail e floppy, dieci anni fa sfornarono un piccolo capolavoro di indie spichedelico: “Hotel Titanic”
ho scoperto (cazzeggiando su facebook) che in quel gruppo ci suona un mio ex collega.

piccolo il mondo
ps: le foto di un loro concerto a tonara con una pianola bontempi non si possono vedere
@Boitano – non ti piacciono le foto, o non ti piace la bontempi? dovresti sentire il disco, potresti ricrederti. occhio con quei pattini e salutami la nativa california…
PS: ancora un grazie a Mr. Turturro per le apprezzatissime parole di elogio.
non mi piace la bontempi