Tempo fa , soprattutto in ambienti legati al software libero, si discuteva con preoccupazione dell’introduzione dei sistemi di Trusted Computing.
Questi sistemi nascono con lo scopo di far girare in un computer solo del software o dei dati di cui ci si può fidare, eliminando ad esempio il pericolo di virus, phishing e programmi pericolosi.
Il rovescio della medaglia è la sua interpretazione può portare, togliendo all’utente la facoltà di discernere autonomamente di quali dati ci si può fidare, a un controllo dei dati e del computer dell’utente da parte di un soggetto esterno che può decidere se una determinata canzone può essere ascoltata, per quante volte e su quali dispositivi, se quel software può girare, etc.
E questo decisione viene imposta dall’alto anche al proprietario del computer, che a seconda di come è stata concepita la piattaforma di trusted computing, non è in grado di opporsi a queste direttive “esterne”.
All’ epoca si puntava il dito in particolare sull’implementazione di questa tecnologia da parte di Microsoft, conosciuta col nome in codice “Palladium”, che veniva sospettata potesse far diventare la Microsoft stessa una sorta di grande fratello che decide cosa l’utente può o deve fare.
Allo stato dei fatti però l’implementazione di questi sistemi, fortunatamente è stata più blanda del previsto, ma la cosa più sconvolgente è che l’azienda che più ha applicato questo concetto di grande fratello digitale sia proprio una di quelle che basa il suo business sull’implementazione di prodotto open source.
Si tratta di Apple, che basa le sue fortune su Mac Os, il sistema operativo dei suoi dispositivi, mutuato dal sistema operativo open source Free Bsd.
Ed è la Apple l’azienda che ultimamente più di altre sta mettendo in pratica questo concetto di grande fratello digitale.
Un’esempio è il sistema di protezione FairPlay per proteggere gli acquisti su iTunes che si basa sul concetto di cifratura alla base del Tpm, l’utilizzo della cifratura dell’output sulle porte display port, che consentono ai Mac di collegarsi a un monitor esterno o a un videoproiettore.
Un altro esempio è la nebulosa procedura di approvazione delle apps per iPod/iPhone/iPad in vendita sullo store di iTunes, dove passa solo ciò che Apple vuole far passare, e dove Apple stessa fa il buono e il cattivo tempo decidendo di togliere dalla vendita applicazioni sviluppate da altri anche senza motivazioni apparenti ( e la cosa è gia successa diverse volte…)
Altro esempio lampante è l’assenza del player Adobe Flash dai dispositivi mobili della casa della mela, nonostante le caratteristiche tecniche dei prodotti ne permetterebbero il pieno supporto. Apple ha deciso unilateralmente non solo di non supportare una tecnologia universalmente accettata, ma di cercare in vari modi di “debellarla”. Questa forma oltre a essere commercialmente scorretta nei confronti di Adobe (ma è una scelta di affari che dipende dalle due societa in questione, nella quale non voglio metter parola) crea dei grossi problemi agli utenti dei prodotti Apple.
Infatti come i piu informati sapranno, la maggior parte dei siti internet fa uso della tecnologia Adobe Flash, e pertanto visitare un sito con un browser che non supporta questa tecnologia rende “monca” la fruizione del sito, non permettendone la corretta visualizzazione di tutti i contenuti.
Questo significa, che a seconda di come è stato realizzato il sito, una parte, se non tutto il sito sarà fruibile da chi non ha un browser compatibile con Adobe Flash, tecnologia che è diventata da diversi anni a questa parte uno standard di mercato.
Apple per partito preso , adducendo scuse quali problematiche legate alla durata della batteria o instabilità, ha deciso di non supportare questa tecnologia, nonostante Adobe stessa si sia proposta di farsi carico dei costi di questa implementazione.
Il risultato è che chi visualizza i siti con un dispositivo mobile (iPhone, iPod Touch e iPad) di Apple non potrà avere accesso completo ai siti internet, a meno che non siano realizzati per fare a meno di Flash, come alcuni editori web hanno fatto creando delle pagine web apposite per iPhone.
Ma se il problema, potrebbe essere trascurabile su iPhone, non lo è sul nuovo arrivato iPad, pensato (anche) per la navigazione web, ma che al posto delle animazioni flash visualizza un quadrato blu con un punto interrogativo nel mezzo.
E ancora piu grave è il fatto che Apple abbia deciso di impedire che i propri utenti possano scaricarsi autonomamente Flash, perchè se ci puo stare che non venga supportato nativamente, il fatto di impedire agli utenti di farlo, anche a proprio rischio e pericolo, un po’ come succede in altri sistemi operativi, è davvero vincolante, specie se si è pagato il dispositivo ben più di uno analogo della concorrenza, che il Flash lo ha di serie.
Infatti un utente potrebbe essere disposto a delle limitazioni, in cambio di qualcosa, ad esempio un prezzo più basso di acquisto, ma se addirittura il tuo prodotto costa pure di più la cosa è solo una mancanza di rispetto , a mio avviso, nei confronti dell’utente.
Mi si dirà, però dopotutto Apple nonostante queste limitazioni , e i prezzi più alti vende e pure bene, come dimostrano i 300.000 iPad venduti sulla fiducia nel primo giorno di vendita.
Questo è vero, forte di un effetto modaiolo che porta le masse a seguire una moda, che ritiene cool tutto ciò che ha una mela morsicata sopra, anche grazie a dei prodotti, che obbiettivamente sono ben riusciti.
Il problema è esiste una nutrita schiera di fanboy che pende dalle labbra di un guru, e che è pronta a fare tutto ciò che questo guru vuole, anche se la cosa fosse senza senso, come ad esempio strapagare un prodotto con meno funzioni della concorrenza, o decidere di non poter fare una cosa se non nei modi e nei tempi stabiliti dal guru.
Questo è preoccupante, e ragionandoci sembra proprio che il grande fratello orwelliano si sia manifestato nei panni di Steve Jobs, il fondatore e iCeo di Apple.
Questo modo di imporre decisioni sul cosa e sul come uno debba usare un determinato oggetto, solo perche è stato venduto da te, e questa schiera di fanboy-seguaci che fanno parte di una sorta di setta telematica dedita al proselitismo (e la serie di spot Get a mac è un esempio lampante di questa politica) del culto del dio Apple, fa pensare che forse quella che raccontava Orwell forse non era (solo) fantascienza.
Potremmo in un futuro poter decidere cosa fare coi nostri soldi, decidere cosa fare, e come utilizzare le cose che abbiamo comprato, o dovremmo sottostare per forza ai dettami di un guru imposto dall’alto?
Io nonostante sia comunque attratto dal mondo Apple ultimamente mi sto preoccupando, e dire che il Grande Fratello digitale doveva essere la Microsoft…