La sfida a chi muore di più

A qualche giorno dalla strage in forse si può discutere con un po’ più di calma sul tragico evento che ha distrutto sei famiglie, sconvolto le coscienze di alcuni cittadini, dato una scossa alla politica, resuscitato un manipolo di imbecilli che ieri urlavano 10, 100, 1000 Nassirya e oggi scrivono sui muri a vernice rossa -6, il dibattito sulle missioni di guerra e missioni di pace e il peggio della e dell’ che la famigerata “opinione pubblica” è maestra nello sciorinare in queste occasioni.
C’è stato anche qualcosa di più come il minuto di silenzio alla memoria e richiesto dal ministero con circolare rifiutato da un istituto romano per convinzione della preside.
I pareri sulla missione in Afghanistan e sul giusto modo di interpretare questo fatto luttuoso per il nostro Paese sono discordanti e attraversano tutto l’arco parlamentare.
Ci sarebbe da chiedersi se esiste un “giusto modo” per interpretare la situazione in terra afghana e in ogni caso se ha importanza definire un pensiero condiviso.
Due paletti almeno si possono mettere. Primo. Solo in Italia, dei paesi impegnati nel conflitto che coinvolge diverse forze militari internazionali, si discute ancora sui termini “missione di guerra e missione di pace”. E solo in Italia ogni volta si monta questa polemica quasi dimenticando che le esplosioni nella maggior parte dei casi si accompagnano sempre alla morte di almeno il doppio di civili innocenti.
Secondo. L’abuso di due termini entrambi inappropriati in queste occasioni: e .
Possibile che per dimostrare il proprio apprezzamento per l’operato dei nostri in terra straniera che, lo vogliamo o no, rappresentano l’Italia e lo Stato bisogna esagerare sfoderando tutta la prosopopea dell’eroismo? I nostri sono dei ragazzi altamente specializzati, ben pagati che sanno a cosa vanno incontro e lo scelgono in modo assolutamente volontario. I sei morti sul carro blindato non possono essere definiti eroi, etichetta di cui si può fregiare ad esempio il soldato italiano colpito a Mogadiscio e paralizzato sulla sedia a rotelle per tutta la vita dopo essere tornato nel cuore di un conflitto a fuoco a recuperare e salvare alcuni suoi compagni senza che nessuno glielo avesse chiesto al contrario di correre in ritirata salvandosi la spina dorsale, senza che nessuno potesse nel caso biasimarlo.
Le parole hanno un valore, se vengono usate a vanvera si rischia di sminuirlo.
Lo stesso vale dall’altra parte. Possibile che per manifestare il proprio disprezzo per le missioni militari italiane o per portare avanti la propria convinzione antimilitare si debba definire dei soldati mercenari? Mercenari perché ammazzano per soldi. Questa tesi è ancora più facile da smontare e da capire perché chi ha un po’ di sale in zucca, senza scomodare enciclopedie e dizionari sa bene che i mercenari sono tutt’altra cosa rispetto a soldati degli eserciti nazionali che partecipano ad operazioni di peace keeping.
I mercenari non hanno appartenenza ufficiale, sono al soldo di chi li paga di più e il termine, tra l’altro, ha un’accezione negativa da sempre, non può essere usato a cuor leggero persino il giorno stesso dei funerali.
La cosa che poi fa sorridere, se non ci fosse da rattristarsi per la drammaticità del conflitto in atto, è che i compagni dei soldati morti, i superiori e probabilmente prima di soccombere, loro stessi, non si definiscono mai eroi, ma ognuno intervistato dice “siamo qui per svolgere il nostro compito, la morte è da mettere in conto”.
Viene un senso di nausea vedere trasmissioni televisive che passano allegramente in pochi minuti dal collegamento con i militari della al dibattito sul prossimo matrimonio tra la Canalis e Clooney sbandierare emozioni e finte lacrime attinte alla retorica dell’eroe.
E fa altrettanto schifo vedere le stesse persone, non tutte fuori da cariche politiche, dare del mercenario ad un soldato italiano con il cadavere ancora caldo e invocare in altri tempi l’atto di eroismo per un giovane in passamontagna che lancia un estintore alla camionetta dei carabinieri.
Per fortuna la nausea è passeggera, anche le bare vengono deposte e i loculi chiusi e dopo un po’ si può riprendere a giocare con le parole e a imbiancare i sepolcri fuori con il putridume dentro.

symbel (redattore)

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